Il diritto al gioco
Il diritto a dedicarsi al gioco, articolo 31
La Convenzione ONU dei diritti dell’infanzia del 1989 afferma che i bambini hanno diritto all’istruzione (art. 28), al gioco, al riposo, al divertimento e a dedicarsi alle attività che più gli piacciono (art. 31). Due diritti di ugual peso e di ugual importanza. Per cui se le mattinate feriali e per nove mesi sono della scuola, i pomeriggi, i fine settimana e le vacanze dovrebbero essere dei bambini e dovrebbero decidere loro come utilizzarli. Non penso che il suggerimento debba essere di giocare solo e sempre con la palla, ma di utilizzare il tempo con una sostanziale libertà per fare quello che piace di più: esplorare, visitare, leggere, disegnare, fotografare, raccogliere oggetti e giocare fuori con gli altri.
Ma i bambini sanno che non è affatto così, che gli adulti non li considerano uguali perché a scuola bisogna andare tutti i giorni e, tutti i pomeriggi, nei giorni festivi e nelle vacanze bisogna fare i compiti per casa e spesso per il gioco non rimane tempo. “Per gli insegnanti lo studio è importante perché ci prepara per il futuro, invece giocare si gioca solo da bambini e per questo non conta niente” diceva Silvia, una bambina del Consiglio dei bambini di Roma.
L’opinione della scienza
La scienza non condivide questa opinione degli adulti.
Nella descrizione dello sviluppo che fa la ricerca scientifica è proprio nei primi giorni, nei primi mesi e nei primi anni che lo sviluppo è più rapido e più importante. Prima che un bambino o una bambina entrino per la prima volta in una aula scolastica, le cose più importanti sono già successe: gli apprendimenti più importanti, le fondamenta sulle quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi sono già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati.
Questo enorme lavoro cognitivo e sociale avviene principalmente giocando.
Il bambino e la bambina vivono nel gioco un’esperienza rara nella vita degli esseri umani: quella di confrontarsi da soli con la complessità del mondo. Giocare significa ritagliarsi ogni volta un pezzetto di questo mondo: un pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle regole, uno spazio da occupare, un tempo da amministrare, dei rischi da correre. Con una libertà totale, perché quello che non si può fare, si può inventare. E il motore che spinge questa esperienza è il più potente che l’essere umano conosca: il piacere. È per questo che un bambino o una bambina per giocare possono anche dimenticarsi di mangiare o di fare la pipì.
Cosa significa giocare
Perché i bambini possano vivere pienamente l’esperienza di gioco debbono realizzarsi alcune condizioni. Debbono poter essere sufficientemente autonomi, avere un tempo libero da amministrare, poter scegliere il luogo adatto per il gioco scelto e vivere queste condizioni insieme ad altri bambini. Quindi per poter giocare occorre poter uscire di casa senza essere accompagnati, cercarsi delle amiche o degli amici e dedicare al gioco un tempo libero da altri impegni in un posto adeguato. Giocare significa vivere l’esperienza dell’avventura, della scoperta, dell’ostacolo, del rischio. Il piacere si riuscire a fare quello che ieri non si era capaci di fare o la frustrazione di non riuscirci. Alla domanda “Che cosa è il gioco per un bambino?” la psichiatra infantile Françoise Dolto rispose: “Direi che è godere della realizzazione di un desiderio attraverso dei rischi”. Il rischio, componente essenziale del gioco, non sarebbe possibile se ci fosse un adulto presente che accompagna e vigila.
Naturalmente questa esperienza necessariamente libera e autonoma sarà vissuta all’interno di regole temporali, spaziali e sociali definite dalla famiglia, e dovrà prevedere che al rientro a casa stanchi e forse sporchi ci siano tante cose da raccontare.
Il gioco e la scuola
Anche la scuola dovrebbe essere interessata all’esperienza di gioco dei suoi alunni, perché solo se potranno vivere i loro pomeriggi, fine settimana e vacanze giocando i bambini potranno avere qualcosa di interessante da portare a scuola come materiali di lavoro: le loro osservazioni, scoperte, sorprese, meraviglie. Se la scuola non potrà avere questo contributo dovrà tornare ai suoi programmi e ai libri di testo ed essere una cattiva scuola. Se vorrà avere questo contributo non dovrà occupare il tempo dei bambini con i compiti per casa.
Una città per giocare
Una città che sviluppa una politica a favore dell’infanzia e che assume i bambini come parametro deve assumere il loro diritto al gioco come uno dei suoi impegni prioritari. Un impegno che si realizza a diversi livelli:
- Un primo livello normativo e giuridico: la città deve favorire il gioco dei bambini e quindi in nessun modo lo dovrà proibire o limitare e dovrà vigilare perché non ci siano limitazioni o proibizioni nei regolamenti condominiali. Valga come bell’esempio un cartello che ho fotografato a Miraflores di Lima in Perù che diceva: “Proibido jugar la pelota excepto niños”.
- Un secondo livello dovrà essere quello della mobilità, scegliendo con coraggio i pedoni rispetto alle automobili e ripensando il disegno delle strade e dei marciapiedi in modo che sia facile e sicuro per tutti, a partire dai bambini, uscire di casa e da soli muoversi nello spazio urbano.
- Un terzo livello sarà quello urbanistico, rinunciando agli spazi di gioco stereotipati, chiusi, dedicati ai bambini, per offrire loro e a tutti i cittadini spazi pubblici belli, interessanti, che tutti possano utilmente e piacevolmente utilizzare nella diversità delle proprie esigenze. In questa città diminuiranno le paure delle famiglie e i bambini potranno uscire con i loro amici per andare a scuola la mattina e per andare a giocare nel pomeriggio. Il posto del gioco dei bambini sarà la città e la loro garanzia sarà la città stessa che se ne prenderà cura. In cambio i bambini, con la loro presenza, obbligheranno gli adulti ad una maggiore attenzione e partecipazione rendendo la città migliore e più sicura.
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