La scuola che (dis)perde
Negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. Si tratta del 31,9 per cento dei circa 9 milioni di studenti che hanno iniziato in questi tre lustri le superiori nella scuola statale. Facendo i calcoli è come se l’intera popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia e Veneto non ce l’avesse fatta.
MAURIZIO PARODI
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli adolescenti italiani sono particolarmente stressati dallo studio e hanno un pessimo rapporto con la scuola (meno entusiasti risultano solo estoni, greci e belgi).
Si tratta di un “sintomo” preoccupante (tant’è che lo segnala, appunto, l’OMS), per gran parte riconducibile alla richiesta di un impegno extrascolastico soverchiante. Va anche detto che, lo stress colpisce la famiglia nel suo insieme: molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni…) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti, quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere serenamente.
Gli studenti italiani sono, infatti, eccezionalmente oberati di “compiti”, come risulta dalle rilevazioni Ocse Pisa: 9 ore a settimana (ma è una stima per difetto, come può confermare qualsiasi studente: l’impegno quotidiano raramente è inferiore alle 3 ore, per un totale che supera le 20 ore settimanali), rispetto alle 3 di Finlandia e Corea, Paesi ai vertici delle classifiche internazionali per competenze e conoscenze.
Lo stesso rapporto evidenzia come dopo circa quattro ore settimanali di compiti (cioè poco più di mezzora al giorno), il tempo investito sui libri abbia effetti trascurabili sulla performance.
In moltissimi casi, gli studenti italiani, già dai primi anni di scuola, possono essere impegnati per più di 3 ore al giorno (se si considerano i compiti da svolgere il sabato, la domenica e, “naturalmente”, durante le vacanze): in altre parole, uno studente italiano studia in un giorno più di quanto uno studente finlandese studi in una settimana – si pensi che persino nelle scuole a tempo pieno, dopo 8 ore di lavoro, a nostri bambini di 6-11 anni, sono assegnati compiti tutti i giorni e nel week end.
A questo impegno, estenuante, corrispondono risultati sconcertanti.
Il nostro Paese è in fondo alla graduatoria nelle competenze alfabetiche (competenze, riferisce l’Ocse, “fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l’inclusione sociale”).
Risulta, sempre dagli studi dell’Ocse, che siamo ultimi in Europa per capacità di compensare le diseguaglianze culturali tra ricchi e poveri. Fanno meglio di noi anche Romania, Bulgaria e Ungheria. In altre parole, il vero motore del successo formativo degli studenti italiani è la condizione economico-culturale delle famiglie.
Non meno drammatici i dati relativi alla dispersione scolastica.
Nel 2011/12 si sono persi 7.800 allievi, afferma l’Annuario Statistico dell’Istat. La tendenza negativa è al quarto anno consecutivo. La Commissione europea ci riporta alla nostra difficile realtà: l’Italia è tra le peggiori cinque d’Europa (su 28) per abbandoni: lasciano i banchi troppo presto il 17,6% di alunni contro la media UE del 12,7%. Ma l’analisi dei RAV (Rapporti di autovalutazione) delle scuole fotografa un fenomeno in crescita, con picchi preoccupanti al Sud.
I dati diffusi dal Ministero, riferiti al biennio 2013/2014 e 2014/2015, indicano che, ogni anno, oltre 50mila gli studenti di scuola media e superiore smettono di frequentare le lezioni, si sottraggono all’obbligo scolastico, non completano gli studi.
L’emorragia non risparmia neppure i licei. Nel 2013/2014 hanno abbandonato 9.150 studenti; l’anno successivo oltre 10.300: in soli 12 mesi, il fenomeno è cresciuto di 12 punti e mezzo.
Ricapitolando.
La scuola italiana eccelle per:
- la mole, abnorme, di compiti che assegna;
- lo stress, usurante, che procura agli studenti e alle loro famiglie;
- il livello, desolante, di ignoranza, incompetenza, analfabetismo funzionale degli adolescenti (ma anche dei diplomati)
- l’incapacità, scandalosa, di compensare le diseguaglianze di partenza (anzi, le aggrava);
- il tasso, drammatico di dispersione (abbandono, mortalità) che ne accentua il carattere censitario.
In attesa dell’ennesima riforma epocale, di un qualche intervento di ingegneria istituzionale o di altri provvedimenti salvifici, variamente invocati, si potrebbe cominciare dalla cosa più semplice, di immediata fattibilità: visto che la scuola che assegna più compiti ottiene questi drammatici risultati, perché non provare a ridurli drasticamente o eliminarli, quanto meno nella scuola “dell’obbligo”, come già avviene in Paesi pedagogicamente più evoluti, non solo in Finlandia.
Alcuni insegnanti già lo fanno; sicuramente gli oltre 300 iscritti al gruppo facebook: “Docenti e Dirigenti a Compiti Zero” che sostiene la Campagna: “Basta compiti!”: più di 23 mila firme, sulla piattaforma change.org (https://www.change.org/p/genitori-docenti-dirigenti-scolastici-campagna-basta-compiti).
Non è la panacea, non si risolvono così i tanti mali che affliggono la scuola, ma è certo che si ridurrebbe il rigetto nei confronti dello studio, perciò la mortalità scolastica, e si procurerebbe sollievo (alleviando sofferenze anche molto gravi) a chi di questi mali più soffre.
Primum non nŏcēre!
https://www.noimamme.it/mio-figlio/scuola-pedagogia/la-scuola-disperde.html
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