Compiti e competenze
“In Francia sono stati organizzati scioperi contro i compiti a casa.
Ho sempre pensato che i compiti siano una iattura . Lo pensavo da studente, lo pensavo da insegnante, lo penso ora da psicologo che conduce molti corsi di formazione nelle scuole.
I Francesi che protestano però sono avvantaggiati dal fatto che da loro c’è già da tempo una legge che vieta i compiti a casa.
Protestano quindi per una legge disattesa e ignorata.
Noi siamo fermi al “pre legge”.
Da noi il senso comune trova normale, per lo più, dare compiti a casa e compiti delle vacanze. Vediamo che cosa implica questa modalità acquisita. Mi servirò di qualche esempio, premettendo che so che ci sono, e che
incontro spesso, molti insegnanti meravigliosi, ma ahimè, che si incontrano anche, troppo spesso, gli altri.
In una ricerca condotta qualche anno fa da un mio gruppo in tutte le scuole di una regione italiana, alla domanda aperta: qual è l’insegnante “perfetto”, la stragrande maggioranza degli studenti dette risposte che possiamo sintetizzare così:
1) deve essere competente nella sua materia
2) deve essere imparziale
3) devo poter parlare con lui anche dei miei problemi personali e non solo della sua materia.
Pur trovando affascinanti le altre due vorrei soffermarmi sulla prima risposta. Perché un gran numero di studenti dice che gli piacerebbe un insegnante competente?
Perché evidentemente la cosa non è così diffusa. Volete un indicatore di insegnante incompetente? Ecco una sua frase tipo: “per la volta prossima studiata da pag. x a pag. y”. Ma, vedete, chiunque sappia insegnare sa che una lezione spiegata bene entra così dolcemente e facilmente nella memoria dei ragazzi, che non occorre “studiare di nuovo tutto”. Certo posso andare a guardare il libro, per capirlo, ora che l’insegnante mi ha reso diritta la strada, ma non dovrei mai usare il libro di testo per capire ciò che l’insegnante non ha saputo spiegare.
Ora, cosa vuol dire insegnare bene? Vuol dire conoscere BENE l’argomento! Ecco perché la prima richiesta degli studenti è di una serietà e maturità eccezionale!
Meglio insegno, meno compiti servono, o, addirittura, meglio insegno, più lo studente si divertirà a verificare quanto ha capito, provando piacere nel farlo e non chiamando “compito a casa” quel piacere che la mente si prende quando rilegge il mondo con le nuove conoscenze.
Un toccante episodio di incomprensione fra ragazzi e insegnanti è raccontato, in un mio libro, dalla figlia di un grande e noto filosofo, lo riporto a memoria.
La ragazza racconta che sentì parlare per la prima volta di compito in classe solo nella scuola media. La locuzione “compito in classe” la affascinò. Pensò infatti: che bellezza, domani impariamo a risolvere un problema tutti insieme, mettendo insieme le nostre teste.
Immaginate ora la sua delusione e il suo stupore quando scoprì che il compito in classe è invece l’estrema prova dell’individualismo scolastico (Guai a chi copia!).
La parola compito, anziché indicare un ostacolo da affrontare unendo le intelligenze è stato trasformato in una sorta di ordalia: se superi la prova, a casa, da solo o coinvolgendo i genitori senza però che si sappia, allora vai bene. Se non la superi (perché l’insegnante non ti ha messo in
grado di superarla), è colpa tua (o dei tuoi, ma non si può dire).
Marco Vinicio Masoni
Psicologo e psicoterapeuta, è direttore del «Centro Formazione & Studio» (Milano) e docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia Interattivo-Cognitiva di Padova e la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva Costruttivista di Mestre (Venezia). Dopo aver operato per molti anni nel campo della devianza minorile, svolge oggi attività di formazione e consulenza per i Ministeri della Giustizia e dell’Istruzione e per regioni, province, comuni, oltre che per singole scuole e aziende. Esercita inoltre privatamente la professione di psicoterapeuta. È autore di numerose pubblicazioni.
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