Compiti “per caso”

Pubblicato da Redazione Basta Compiti! il

Il lessico della Didattica per competenze è caratterizzato da parole che hanno un gusto “antico” ma che in questi ultimi tempi hanno assunto significativi nuovi, per cui è importante sgomberare il campo da dubbi e confusioni. Una di queste è “compito”, associata ad aggettivi vari: autentico, reale, significativo.
A tal proposito è stata chiesto l’esimio parere del prof. Maurizio Parodi, Dirigente Scolastico, uomo di scuola, fondatore e promotore di una campagna che vede al centro i “compiti per casa”, nonché autore di libri sul tema: “Basta Compiti! (Sonda, 2012) e “Gli adulti sono bambini andati a male” (Sonda, 2013).
L’intento dell’intervista è raccogliere informazioni preziose per ribadire l’importanza della didattica “significativa”, “inclusiva” che non è vincolata alle prestazioni, ai programmi, alle quantità, al mero sacrifico.
I compiti a casa sono da sempre oggetto di attenzione e di discussione, a tutti i livelli, ed è interessante considerarli proprio alla luce delle linee guida internazionali e nazionali, che mettono al centro del processo di crescita dei discenti le competenze, la trasversalità, i metodi e le autonomie.

Cosa l’ha portata a interessarsi dei “compiti”?
La campagna “Basta compiti!” e l’omonimo gruppo Facebook (oltre 10 mila iscritti) nascono dal riconoscimento della gravità di un problema, del tutto ignorato, che affligge milioni di studenti italiani. I compiti procurano disagi, sofferenze soprattutto a bambini e ragazzi già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria “naturale” inabilità allo studio. Sono discriminanti, avvantaggiano gli studenti avvantaggiati, quelli che abbiano genitori premurosi e istruiti, penalizzano chi viva in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta, e costituiscono una delle ragioni dell’abbandono scolastico. Diceva don Milani: “La scuola funziona come un ospedale al contrario: cura i sani e respinge i malati…”

Quali sono le fonti che avvalorano le sue tesi?
Già negli anni Trenta, pedagogisti come J. Dewey e C.S. Hall contestavano la pratica dei compiti a casa (“un’invasione della vita familiare che priva i bambini del gioco e del tempo libero, fondamentali per la crescita”), ma vi sono studi ormai classici su questo tema; cito solo i più noti: Philippe Meirieu: “Les devoirs à la maison” (2000), Etta Kralovec & John Buell: “The end of Homework” (2000), Alfie Kohn: “The homework myth: why our kids get too much of a bad thing” (2006), Sara Bennett & Nancy Kalish: “The case against homework: how homework is hurting our children and what we can do about it” (2006), Harris Cooper: “The battle over homework” (2007). Mi permetto di menzionare anche il mio “Basta compiti! Non è così che si impara” (2012), il solo libro pubblicato in Italia su questo tema.

Come si comportano i docenti italiani?
Gli studenti italiani sono eccezionalmente oberati di “compiti”, come risulta dalle rilevazioni Ocse Pisa: 9 ore a settimana (ma è una stima per difetto, come può confermare qualsiasi studente: l’impegno quotidiano raramente è inferiore alle 3 ore, per un totale che supera le 20 ore settimanali), rispetto alle 3 di Finlandia e Corea, Paesi ai vertici delle classifiche internazionali per conoscenze e competenze. Lo stesso rapporto evidenzia come dopo circa quattro ore la settimana di compiti (cioè poco più di mezz’ora al giorno), il tempo in più dedicato allo studio ha effetti trascurabili sulla performance. Si pensi che persino nelle scuole a tempo pieno, dopo 8 ore di lavoro, ai nostri bambini di 6-11 anni, sono assegnati compiti tutti i giorni e nel week end: un accanimento che rasenta la crudeltà mentale.

Qual è lo stato di salute del nostro sistema scolastico?
In estrema sintesi, il sistema scolastico italiano, stando ai dati forniti da fonti autorevolissime (Ocse, OMS, Eurostat…) eccelle per:
-la mole, abnorme, di compiti che assegna;
-lo stress, usurante, che procura agli studenti e alle loro famiglie;
-il livello, scandaloso, di ignoranza, incompetenza, analfabetismo funzionale degli adolescenti (ma anche dei diplomati)
-l’incapacità, allarmante, di compensare le diseguaglianze di partenza (anzi, le aggrava);
-il tasso, riprovevole, e stigmatizzato dalla Commissione europea, di dispersione (abbandono, mortalità) che ne evidenzia il carattere censitario.
In attesa dell’ennesima riforma epocale, di un qualche intervento di ingegneria istituzionale o di altri provvedimenti salvifici, variamente invocati, si potrebbe cominciare dalla cosa più semplice, di immediata fattibilità: visto che la scuola che assegna più compiti ottiene questi drammatici risultati, perché non provare a ridurli drasticamente o eliminarli, quanto meno nella “scuola dell’obbligo”, come già avviene in Paesi pedagogicamente più evoluti, come la Finlandia. Da noi alcuni insegnanti già lo fanno; sicuramente gli oltre 300 iscritti al gruppo Facebook: “Docenti e Dirigenti a Compiti Zero”, che sostengono la Campagna: “Basta compiti!”: più di 24 mila firme, sulla piattaforma change.org (https://www.change.org/p/genitori-docenti-dirigenti-scolastici-campagna-basta-compiti
).

Come risponde a quanti affermano che le situazioni non sono tutte uguali e che le scelte devono essere contestualizzate?
Eppure la pratica dei compiti è generalizzata… Nessuno ne ha mai dimostrato l’utilità: si assegnano perché lo si è sempre fatto; non si pensa a possibili alternative e nemmeno ci si preoccupa di giustificare un impegno così gravoso, doloroso persino, che toglie tempo ad altre attività fondamentali (sport, arte, musica… pressoché ignorate dalla scuola), che procura noia, rabbia e finalmente disgusto per lo “studio”. Lo studio può (e dovrebbe) essere un impegno eccitante, persino gioioso; e lo è allorché sia frutto di curiosità, ricerca, esplorazione, e ispirato da bisogni reali, desideri autentici. Ma se davvero si crede che i compiti servano a consolidare gli apprendimenti e ad acquisire un metodo di studio, ebbene si facciano a scuola: è a scuola che si deve imparare a imparare, e i docenti (non i genitori) sono i soli a disporre dei necessari strumenti professionali. Gli effetti perniciosi di una didattica centrata sulla lezione frontale (bandita dalle “Indicazioni nazionali”) e i compiti a casa è sotto gli occhi di tutti. “di PELLEGRINO MARCO”

http://www.lascuolapossibile.it/articolo/compiti–per-caso-/

La Scuola Possibile

Categorie: Rassegna stampa

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