Ma i compiti a casa sono proprio necessari? Un’alternativa ora c’è
La Francia di Macron li ha vietati anche alle medie. In Inghilterra i genitori sono contrari alla scuola «homework-free». In Italia cresce la fronda dei contrari, genitori e prof. E una sperimentazione in 166 scuole promette di eliminarli: purché cambi anche la didattica in classe
di Gianna Fregonara e Orsola Riva
A guidare il riflusso questa volta sembrerebbero gli inglesi. E’ di pochi giorni fa la notizia della rivolta dei genitori della Philip Morant School and College di Colchester contro la preside per la sua decisione di dichiarare la scuola homework-free. Non fare i compiti, non studiare a casa, secondo mamme e papà di questa cittadina dell’Essex, non serve a dare maggiore autonomia ai ragazzi ma li espone al rischio di non passare gli esami finali che in Gran Bretagna sono standardizzati e corretti da un unico organismo indipendente. In Italia, invece, da tempo è in corso una «rivolta» di segno contrario, nella forma di una petizione sulla piattaforma Change.org, animata dal dirigente scolastico di Genova Maurizio Parodi che l’ha lanciata tre anni fa con lo slogan: «Basta compiti» perché sono inutili, dannosi, discriminanti e malsani. La petizione cresce lentamente verso le 30 mila adesioni: c’è anche qualche professore e tante maestre. In Emilia Romagna per esempio sono una ventina, quasi tutti della primaria. Tra i sostenitori illustri ci sono l’ex direttore generale della Rai Carlo Freccero, lo scrittore Alessandro Dal Lago e il pedagogista Daniele Novara.
Ma l’idea di vietare i compiti in base alla Carta internazionale dei diritti dell’infanzia che parla di diritto al riposo si scontra con la libertà d’insegnamento, principio fin qui invocato dai ministri per evitare di prendere provvedimenti definitivi. L’ex ministra Stefania Giannini a suo tempo fu categorica in merito: «Non si possono cancellare i compiti per legge». Punto e accapo. Molto più sfumata la posizione dell’attuale titolare dell’Istruzione Valeria Fedeli. Commentando la misura varata pochi mesi fa dal governo Macron che ha esteso il divieto dei devoirs à la maison anche alle medie (per i più piccoli erano già vietati da almeno sessant’anni in nome dell’égalité), la ministra ha detto: «Credo ci debba essere un atteggiamento migliorativo rispetto a quello tradizionale: ti faccio la lezione frontale, poi tu approfondisci a casa da solo».
La sperimentazione di Biella
E’ questa la direzione seguita dalla sperimentazione ideata dal pedagogista e funzionario del Miur Raffaele Ciambrone, partita l’anno scorso nella provincia di Biella ed estesa quest’anno a 166 scuole elementari e medie di altre 4 province italiane: Verbania, Milano, Torino e Trapani. L’idea di partenza è che non basta eliminare i compiti a casa se la didattica rimane quella che è. Spiega Cinzia Sabatino, referente del progetto presso l’ufficio scolastico di Biella: «Siamo partiti da una constatazione: i nostri figli sono sovraccaricati. Fanno lezione per 6,7 ore al giorno e poi devono pure fare i compiti. Perché non usare una parte delle ore in classe invece per solidificare le cose imparate al mattino?». Non solo: il progetto interviene anche sullo spezzatino delle materie che toglie concentrazione ai ragazzi. Alle elementari si fa una settimana di italiano e la successiva di matematica. Alle medie si accorpano le materie per macroaree (linguistica, matematica ed espressiva) e ogni docente svolge in modo esaustivo un argomento per volta: un giorno grammatica, un altro epica, il terzo storia. Le lezioni sono concentrate al mattino per la primaria e nelle prime tre ore alle medie. Poi parte il lavoro in gruppo con la didattica fra pari e le esercitazioni. Funziona? «I primi segnali sono molto incoraggianti – dice Sabatino – e comunque siamo monitorati dall’Università Cattolica che al termine del triennio pubblicherà i risultati».
Del resto, secondo i dati dell’Ocse, i ragazzini finlandesi e coreani che sono al top per competenze e conoscenze studiano un terzo dei loro coetanei italiani che vanno molto peggio a scuola. Secondo gli esperti dell’organizzazione internazionale i compiti sarebbero un esercizio ridondante soprattutto alle elementari. E soprattutto sono portatori di ineguaglianze perché chi ha genitori che hanno studiato ha più possibilità di essere aiutato. Per quanto si possa essere esasperati, come genitori, dalla mole dei compiti dei nostri figli, la soluzione non può essere nemmeno quella di chiamarsi fuori unilateralmente come fece due anni fa un papà di Varese che al rientro delle vacanze giustificò così il figlio che non li aveva fatti: «Voi avete nove mesi per dargli nozioni e cultura, io tre mesi per insegnargli a vivere».
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