Scuola, l’albo dei docenti «a compiti zero»

Pubblicato da Redazione Basta Compiti! il

Non danno esercizi a casa agli alunni. In rete sono 30 mila gli aderenti alla «corrente» alternativa. Lezioni organizzate in modo diverso, preoccupazioni dei genitori. Stella, professore di Psicologia clinica all’Università: «Tempo pieno fino alle superiori»

di Daniela Corneo

Docenti compiti zero corriere bologna

BOLOGNA – Non danno compiti a casa. I maliziosi sostengono lo facciano per non correggerli; loro dicono che lo fanno perché pagine di esercizi da fare da soli (o con i genitori) non creano un valore aggiunto per i bambini, anzi, peggiorano solo il rapporto con la scuola.

Si fanno chiamare docenti «a compiti zero»: sono pedagogicamente contrari a dare esercizi casalinghi agli alunni, si sono riuniti in un gruppo su Facebook e hanno firmato la petizione di Maurizio Parodi, il preside di Genova che da tempo si batte contro l’assegnazione di lavoro a casa per gli studenti e su Change.org ha convinto 30.000 persone.

L’albo dei docenti senza compiti

Tra questi ci sono anche dei docenti di Bologna e dell’Emilia-Romagna, finiti qualche settimana fa in un albo sul web che mette nero su bianco gli insegnanti e i presidi senza compiti. Nell’albo che fa una prima fotografia del movimento creatosi attorno a Parodi, sono 23 i docenti senza compiti in Emilia-Romagna: 10 nella primaria, 9 nelle medie, 2 alle superiori. E poi ci sono due professori dell’università (di Parma e di Modena-Reggio Emilia) che hanno aderito perché «sposano» i principi pedagogici dell’appello di Parodi.

Una maestra: «Ecco come faccio»

Laura Mingozzi, 47 anni, è arrivata in una primaria di Toscanella di Dozza 10 anni fa. Ha dovuto affrontare le lamentele dei genitori e gli sguardi sospettosi delle colleghe. Ma è andata dritta per la sua strada. «Di compiti non ne assegno — spiega — perché nel tempo mi sono accorta che chi ha la famiglia alle spalle, i compiti li esegue ma non migliora; chi invece non è seguito, peggiora». Quindi un giorno ha deciso: «È iniziata prima come una cosa in sordina. I bambini così imparano a organizzare il loro tempo e approfondiscono in modo autonomo le curiosità nate in classe». La vera difficoltà, dice la maestra, è nella preparazione delle lezioni: «Se vuoi ottenere dei risultati e facilitare l’apprendimento senza imposizioni devi trovare sempre delle strategie per rendere attuali gli argomenti. Ma è il bello del nostro lavoro».

Genitori preoccupati

E invece Francesco Tripodi, 60 anni, 20 dei quali passati a insegnare tra Lippo di Calderara e Longara, insegna alle elementari Fortuzzi dentro ai Giardini Margherita, a Bologna: «Faccio lezioni molto corte, poi io e i miei alunni usciamo in giardino. Lo fanno anche in Finlandia». «Su una ventina di maestri — dice — sono l’unico a non dare compiti, cosa che preoccupa i genitori soprattutto per il passaggio alle medie». Tripodi insegna le materie scientifiche. A modo suo: «Faccio giochi logici, indovinelli, rompicapo. Evito il clima competitivo in classe e lascio del tempo libero». «Da quando ho iniziato a insegnare, ho notato che gli studenti erano troppo oberati di compiti». Felice Spampanato, 48 anni, da 5 è prof di tecnologia alle medie Farini dell’Ic 12. «Tecnologia è una materia che aiuta: i disegni li faccio in classe con loro, a casa devono solo completarli. La parte teorica, il vero studio, lo fanno in aula informatica, dove lavorano in gruppo». Anche in questo caso sono stati i genitori l’ostacolo: «Le famiglie erano un po’ stupefatte, poi hanno capito».

Serve una rivoluzione del sistema

Giacomo Stella, professore di Psicologia clinica all’Università di Modena e Reggio Emilia, è tra i firmatari illustri della petizione di Parodi. «Non si impara senza esercizio — sostiene — ma una delle premesse dell’esercizio è che sia fonte di soddisfazione. E invece spesso la scuola dà esercizi complicati che fanno i genitori. Oggi gli insegnanti dicono: a scuola io insegno, a casa tu impari e se non impari ci pensano i tuoi genitori». E invece Stella ritiene che gli studenti debbano imparare a scuola, meglio se in gruppo. «L’ideale è il tempo pieno fino alle superiori, età in cui i ragazzi i compiti li fanno con il cellulare. Bisogna fare una rivoluzione del sistema

https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/cronaca/18_febbraio_02/08-bologna-aprecorrierebologna-web-bologna-e63b54e4-07f9-11e8-a226-8cc22ad9cbf8.shtml


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