Testimonianza di Gianluca Campana
Mi chiamo Gianluca Campana, sono Psicologo, Psicoterapeuta e Professore di Psicologia Generale all’Università di Studi di Padova, e aderisco ormai da tempo alla campagna Basta Compiti.
Quest’oggi vorrei esprimere alcune riflessioni sui compiti a casa dal punto di vista della psicologia e delle scienze cognitive.
Moltissime persone inclusi genitori e insegnanti ritengono che la quantità di tempo impiegata nell’esercizio (di qualunque tipo, ma nella fattispecie parliamo di esercizi scolastici) correli positivamente con qualità e quantità dell’apprendimento. “Training makes perfect”, come dicono gli inglesi.
Questo assunto però si applica solo in determinati casi e solo laddove gli obiettivi siano commensurati allo sforzo e quindi la motivazione intrinseca sia molto elevata, l’attività in questione sia accompagnata da emozioni positive, e soprattutto non sia imposta da altri.
Nella maggior parte dei casi e nello specifico caso dei compiti a casa, questo assunto è smentito da tutta una serie di altri fattori che riguardano il sistema cognitivo, percettivo, emotivo e motivazionale nell’età dello sviluppo.
Partiamo da apprendimento e memoria. Certamente il modo più utilizzato per apprendere e far apprendere è la ripetizione. Imparare a memoria. Per come funziona la nostra memoria, la mera ripetizione è il metodo più dispendioso in termini di tempo e anche il meno efficace. La comprensione del significato di ciò che si sta imparando, l’uso di connessioni semantiche tra le varie parti del materiale da immagazzinare, e tra tale materiale e ciò che già si conosce, è certamente una strategia migliore che richiede meno tempo (un tempo breve ma di qualità) ed è indubbiamente più divertente.
L’apprendimento inoltre è più efficace se l’attività risulta piacevole ed è accompagnata da emozioni positive acquisendo dunque un valore incentivante (ovvero che di per se stesso funziona da rinforzo, da ricompensa).
E’ evidente di come questo non possa essere il caso dei compiti a casa, che devono essere svolti dopo diverse ore passate a svolgere attività simili.Il tempo dedicato allo studio e all’esercizio si collegano infatti al tema dell’attenzione, in particolare dell’attenzione sostenuta, ovvero la capacità di rimanere concentrati su determinati contenuti o su un particolare compito per un determinato tempo più o meno lungo.
E’ noto come nell’adulto l’attenzione sostenuta si riduca drasticamente dopo circa 45 minuti, mentre per un bambino questa durata possa essere anche molto inferiore.
L’efficienza dell’attenzione sostenuta varia anche (e considerevolmente!) in funzione dell’ora del giorno: è massima nelle due ore che precedono mezzogiorno, poi inizia a ridursi. L’attenzione sostenuta diminuisce pure in funzione della ripetitività dell’attività per cui viene richiesto lo sforzo.
Questo è un altro motivo per cui diventa assolutamente inutile tediare un bambino con studio ed esercizi per tempi lunghi, ed è pure inutile assegnare compiti poiché dopo le ore passate in classe la capacità di concentrarsi sarà ridotta al minimo.
La motivazione all’apprendimento è un altro tema estremamente importante da considerare quando si parla di carico didattico e compiti a casa. Qualunque attività, anche la più piacevole, alla lunga diventa noiosa e mal sopportata se si viene costretti a praticarla tutto il giorno tutti i giorni senza sosta. In psicologia comportamentale si parla di sazietà, ovvero la presentazione ripetuta di uno stimolo (o attività) desiderato allo scopo di ridurne l’attrattività.
Questo è esattamente ciò che accade assegnando i compiti a casa e costringendo i bambini ad essere impegnati nelle stesse attività scolastiche tutto il giorno, persino dopo il termine delle ore passate a scuola. L’effetto è che la curiosità e la voglia di imparare andranno via via calando e il piacere sarà sostituito prima dalla noia e poi dall’insofferenza.
Ultimo ma non ultimo: che influenza ha tenere i bambini impegnati su libri e quaderni per tempi molto lunghi, sullo sviluppo sensoriale e percettivo visivo?
E’ ormai chiaro che le ore passate sui libri correlino positivamente con la probabilità di diventare miopi e con la gravità della miopia stessa. Nei paesi asiatici per esempio, la pressione e le aspettative esercitate dai genitori sui figli sono estremamente forti. La conseguenza è che questi bambini lavorano moltissime ore al giorno su libri e quaderni e sono esposti per minor tempo alla luce del sole.
Ad esempio, a Singapore i bambini escono a giocare all’aria aperta in media per circa 20 minuti al giorno. Il prezzo che viene pagato per questo è un drastico aumento della miopia, sia in termini diffusione che di gravità. La miopia elevata non è un banale difetto ottico come saremmo portati a pensare: è un fattore di rischio importante per patologie ben più gravi come il distacco di retina e la maculopatia.
Nel Regno Unito ma anche in Irlanda e in diversi paesi asiatici la miopia è la prima causa di cecità, e nessun trattamento disponibile sembra in grado di fermarla, al massimo può limitarne i sintomi (ad esempio attraverso lenti correttive o chirurgia refrattiva).
Tutte queste considerazioni vanno ad aggiungersi alla letteratura scientifica (si veda ad esempio la metanalisi di Cooper e colleghi del 2006), che indica una sostanziale assenza di correlazione tra le prestazioni scolastiche e l’assegnazione di compiti a casa nei bambini/ragazzi entro i 12 anni di età.
Questo suggerisce che i compiti a casa non abbiano alcuna efficacia sul rendimento scolastico per una buona parte della scuola dell’obbligo. Gli effetti deleteri che ho evidenziato in questo lungo post sono invece sempre presenti!
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